Sono Comasco, classe 1989. Alpinista per gioco ed arboricoltore professionista. Come si evince dal cognome, tipico della val Chiavenna e più nello specifico di Gordona, i miei nonni paterni erano originari di quella zona.
Questo legame di sangue mi ha permesso, già dai primi mesi di vita, di poter frequentare la val Bodengo. I nonni ci avevano fatto un gran regalo lasciandoci una casa di famiglia presso l’alpeggio “monte garzelli” dove, insieme ai miei genitori, ho avuto la fortuna di trascorrere le vacanze estive e qualche sporadico weekend fuori stagione.
La mia infanzia è stata un periodo profondamente formativo. Ero un bambino vivace, non molto votato allo studio ma estremamente attento ed appassionato alla natura che mi circondava. Spendevo le mie ore libere a giocare all’aria aperta sui terrazzamenti del grande giardino di casa dei miei genitori nel Comasco. Mi sporcavo e mi fondevo con gli elementi.
In estate, durante le vacanze scolastiche, ci spostavamo in val Bodengo con i genitori oppure con nonna Virginia. Nata nel 1923, i cui occhi hanno visto cambiare il pianeta e quella valle e i cui racconti, di partigiani e contrabbandieri, mi portavano per qualche istante in quel mondo lontano. Lassù mi sentivo bene. I ritmi, i colori, le storie e i profumi di quel luogo erano casa.
I miei genitori erano e sono appassionati di montagna ma con nessuna esperienza alpinistica. Devo molto della mia passione a loro. Mi hanno condotto lungo i sentieri mostrandomi le fatiche e le bellezze delle nostre montagne e dei lori abitanti.
Più cresco e più mi sento di voler dire grazie ai miei genitori. Perchè seppur non facendo parte di quel mondo, non perdevano occasione di mostrarmi, con grande ammirazione, gli alpinisti sulle pareti. Non c’era nessun giudizio negativo da parte loro per quei puntini lontani attaccati alle rocce.
Tutto ciò mi ha portato all’età di dieci anni a nutrire il desiderio di diventare un alpinista. Due anni dopo finalmente, ho avuto la possibilità di iscrivermi ad un corso d’arrampicata presso il CAI di Capiago, piccola sede del mio paese d’origine. Ricordo ancora la prima sera, nella quale mi diedero in prestito un vecchio imbrago rosso anni ’70 ed un paio di moschettoni “Bonaiti”. Correndo verso casa ero euforico.
L’entusiasmo fu immediatamente messo alla prova alla prima uscita del corso al sasso d’Erba. La paura era paralizzante, non mi fidavo minimamente dei materiali, era come scalare slegati. Ogni uscita del corso terminava con il groppo in gola e le lacrime agli occhi, ma la settimana dopo, ero ancora inspiegabilmente lì ad inseguire il mio sogno.
Frequentai il corso per un paio di stagioni, dopodichè le mie uniche esperienze alpinistiche si limitarono a qualche uscita organizzata da Andrea Testa, la guida alpina del corso CAI. Quelle uscite erano magia pura, sogni ad occhi aperti. Andrea è un Alpinista con la A maiuscola, un sognatore libero che con poche parole ci ha trasmesso la sua grande passione.
Durante le scuole superiori iniziai ad arrampicare in autonomia, con il motorino o con il bus riuscivo a frequentare le falesie locali insieme ad alcuni coetanei.
A diciassette anni la scoperta. Iniziai a guardare la val Bodengo e le sue rocce con altri occhi. Insieme a mio cugino Alessandro scoprimmo che qualcuno prima di noi aveva avuto il privilegio di esplorare quelle pareti. Si trattava della cordata Cogliati-Noè. Da quel momento divennero i nostri idoli.
Nel nostro esplorare ci rendemmo conto che il potenziale alpinistico della valle non era ancora esaurito. Così cominciammo ad avvicinarci da autodidatti all’apertura di facili vie sulle strutture ancora vergini.
Iniziò così la stagione più entusiasmante della mia vita. Dai diciassette ai ventiquattro anni ogni fine settimana, dal venerdì sera alla domenica, cascasse il modo, salivo in val Bodengo con mio cugino o con altri amici stretti. Abbiamo avuto la possibilità, nel nostro piccolo, di vivere un alpinismo vero, puro e nostro.
Ogni fine settimana individuavamo una parete, magari bassa, vegetata e lontana dai sentieri, ma per noi quello era il sogno. Che coltivavamo per tutta la settimana finchè, il fine settimana successivo, arrivavamo dentro a quella struttura a realizzare il nostro sogno. Non ne parlavamo quasi con nessuno, eravamo consapevoli della ricchezza che avevamo tra le dita ed eravamo estremamente attenti a non contaminarla.
Arrampicavamo per noi.
Come stile di salita, seppur su gradi inferiori, ci ispiravamo ai nostri predecessori Cogliati-Noè: poche protezioni fisse, spesso solo in sosta o nei tratti improteggibili, prediligendo chiodi normali e protezioni mobili. A riguardarci oggi ci siamo presi dei grandi rischi: tornare indietro era fuori discussione, il livello tecnico era quello che era, solo il cuore ci portava in alto.
Abbiamo lasciato tra le pieghe della roccia qualche segno del nostro passaggio. Chiunque abbia voglia di scovarlo deve solo mettere le scarpette e immergersi in quella che per noi è la val Bodengo!